I six memos di Italo Calvino – Esattezza
di Alessandro Lucchini
Se Calvino avesse conosciuto internet sarebbero state diverse le sue “sei proposte per il nuovo millennio”?
Forse. Ma c’è già molto web in quelle riflessioni.
Vediamo che cosa vuol dire nel caso di leggerezza, rapidità, visibilità, molteplicità ed esattezza.
ESATTEZZA
Esattezza vuol dire per me soprattutto tre cose:
1) un disegno dell’opera ben definito e ben calcolato;
2) l’evocazione d’immagini visuali nitide, incisive, memorabili; […]
3) un linguaggio il più preciso possibile come lessico e come resa delle sfumature del pensiero e dell’immaginazione.
Progetto, immagine e linguaggio: i tre aspetti dell’esattezza per Calvino. Parliamo dell’immagine nella pillola sulla “Visibilità”, ci concentriamo qui sugli altri due. Partendo dall’ultimo.
Esattezza di linguaggio
Perché sento il bisogno di difendere dei valori che a molti potranno sembrare ovvi? […] mi sembra che il linguaggio venga sempre usato in modo approssimativo, casuale, sbadato, e ne provo un fastidio intollerabile. Non si creda che questa mia reazione corrisponda a un’intolleranza per il prossimo: il fastidio peggiore lo provo quando sento parlare me stesso. Per questo cerco di parlare il meno possibile, e se preferisco scrivere è perché scrivendo posso correggere ogni frase tante volte quanto è necessario.
Non un atteggiamento aristocratico, ma un’autocritica sui pericoli di un uso dissennato del linguaggio. “Correggere ogni frase tante volte quanto è necessario” è essenziale anche nel web, dove siamo indotti spesso a scrivere in fretta e male. Una notizia poco curata, uno spunto d’interazione maldestro, una e-mail distratta possono costare molti malintesi.
Dopo la rapidità, dunque, ecco riproposto l’elemento tempo come condizione per il linguaggio preciso.
Su questo i grandi scrittori hanno molto dibattuto. Dostoevskij scrisse Delitto e castigo in un paio di mesi: immagino non stesse tanto a sottilizzare. Stendhal buttò giù Il rosso e il nero in tre settimane: “Voglio che i miei romanzi – diceva – si scrivano e si leggano come un articolo di giornale. Non m’importa dello stile. M’importa solo di quello che dico”.
Al contrario, Vladimir Nabokov: “Lo stile e la struttura sono l’essenza di un testo.”. Così pure Manzoni, con quel logorìo trentennale su un manoscritto del Seicento. E Flaubert: “Qualunque sia la cosa che si vuol dire, esiste un solo sostantivo per descriverla, un verbo per animarla e un aggettivo per qualificarla. E bisogna cercare, e cercare, finché si trova quel sostantivo, quel verbo, quell’aggettivo”.
Anche l’avverbio ha un ruolo centrale nell’esattezza. Sentiamo Stephen King in On writing:
Gli avverbi sono parole che modificano verbi, aggettivi o altri avverbi. […] Gli avverbi, come la forma passiva, devono essere un’invenzione dello scrittore timido […] Con gli avverbi lo scrittore ci dice che ha paura di non essere abbastanza chiaro, di non trasmettere nel modo migliore il concetto o l’immagine. Consideriamo la frase “Chiuse la porta saldamente”. Chiedetevi se “saldamente” è proprio indispensabile […] è come i denti di leone: ne avete uno nel prato di casa vostra, è grazioso e unico. Se non lo estirpate, però, il giorno dopo ne trovate cinque… cinquanta il giorno dopo ancora… e poi, fratelli e sorelle, il vostro prato sarà totalmente, completamente e dissolutamente coperto di denti di leone. A quel punto li vedrete per quelle erbacce che sono in realtà, ma a quel punto sarà – ARGH!! – troppo tardi.
La crociata di King contro gli avverbi si concentra nei dialoghi.
“Mettilo giù!” gridò lei.
“Ridammelo”, supplicò lui, “è mio.”
“Non siate sciocco, Jekyll”, disse Utterson.
in queste tre frasi, “gridò”, “supplicò” e “disse” sono verbi che qualificano il parlato.
Ora osservate queste correzioni di dubbio gusto:
“Mettilo giù!” gridò lei minacciosamente.
“Ridammelo”, supplicò lui angosciosamente, “è mio.”
“Non siate sciocco, Jekyll”, disse Utterson sdegnosamente.
Le ultime tre frasi sono tutte più deboli delle precedenti.
Conclude King:
Ci sono scrittori che cercano di aggirare la norma antiavverbio usando un sinonimo di “dire” pompato di steroidi. Il risultato è noto a tutti i lettori di pulp fiction o letteratura di largo consumo:
“Metti giù quella pistola, Utterson!”, crocidò Jekyll.
“Non smettere più di baciarmi!” ansimò Shayna.
“Maledetto burlone!” ciangolò Bill.
Non fatelo. Pietà, oh, pietà. La miglior forma espressiva per chi parla è “disse”.
Esattezza di forma
L’accenno ai dialoghi ci porta a un’altra osservazione: è forte nel web la seduzione del written speech, il “discorso scritto”.
Ti forwardo una mail con attachment, droppala se non ti serve, ma replyami please.
Tono gergale, anglicismi ovunque, e uno scempio all’ortografia: Cara Paollo, impossible tgrovart al tel; attendo newss. Cia. Ma, se un errore è libertà, una catena di errori è sciatteria.
Davanti a un congiuntivo maldestro, o a una virgola tra soggetto e verbo, un brivido percorre la schiena del lettore. La correttezza non è formalismo, è qualità. Ottimi contenuti perdono valore se gravati da un linguaggio volgare o da errori ortografici.
Esattezza d’informazione
Precisione, affidabilità delle fonti, coerenza tra il titolo di un link e la sua destinazione. Torna alla mente l’ABC del giornalista: accuratezza, brevità, chiarezza. Controllare le informazioni alla fonte ufficiale, controllare le cifre, i nomi, le date e i luoghi in cui si sono svolti i fatti.
A volte queste regole possono saltare, a vantaggio della tempestività: un cambio di vertice aziendale, un’acquisizione, un accordo sindacale. Se l’ora è tarda e i giornalisti attendono, il comunicato va lanciato subito via e-mail e pubblicato nel sito, anche a rischio di qualche imperfezione. Ma sono casi rari.
Né si tratta solo di giornali: l’inserimento di un link in una pagina web o in una e-mail attira l’attenzione del lettore, e merita perciò la massima cura. Ancora troppi link rimandano alla home page, anziché alla pagina in cui si trova l’informazione specifica. Oppure sono inseriti e mai più aggiornati: i naturali flussi di aggiornamento delle pagine web li rendono inutili e frustranti per il lettore.
Esattezza di traduzione
Un po’ d’inglese lo sappiamo tutti, e tendiamo ad arrangiarci con la traduzione.
Fuori dal web questo ha già prodotto molti effetti comici, come il cartello del pub norvegese: “Ladies are requested not to have children in the bar”; o dello studio medico romano: “Specialist in women and other diseases”. Nel web l’agguato dello strafalcione è ancora più pesante e porta a conseguenze inimmaginabili. Pensa alle scuse che ha dovuto pubblicare il MIUR sul proprio sito dopo aver tradotto formaggio pecorino come “Doggy style” e aver fatto ridere la rete per giorni.
Esattezza di progetto e di struttura
L’esempio più significativo d’una battaglia con la lingua per catturare qualcosa che ancora sfugge all’espressione è Leonardo da Vinci: i codici leonardeschi sono un documento straordinario d’una battaglia con la lingua, una lingua ispida e nodosa, alla ricerca dell’espressione più ricca e sottile e precisa…
Molti manoscritti di Leonardo, osserva Calvino, sono la prova
dell’investimento di forze che egli metteva nella scrittura come codice conoscitivo, e del fatto che – di tutti i libri che si proponeva di scrivere – gli interessava più il processo di ricerca che il compimento di un testo da pubblicare.
Siamo al significato di esattezza: “un disegno dell’opera ben definito e ben calcolato”.
Essenziale nel web: una progettazione accurata del sito permette al lettore di muoversi bene e trovare quel che cerca senza perdersi.
La Rete si percorre in modo volontario. Il lettore ha una posizione privilegiata, la consapevolezza costante della propria scelta, la forza di giudicare i messaggi che riceve e di evitare quelli che non lo soddisfano.
Questa centralità del lettore impone allo scrittore una nuova disciplina. Non gli basta mettersi davanti al computer e scrivere: deve prima fare un progetto, con grande rigore. Saper condurre il lettore nei meandri dell’ipertesto significa coniugare libertà e rigore, essenzialità e completezza, e richiede una struttura chiara e riconoscibile.
Esattezza di espressione
Per mancanza di moneta divisionale i pazienti solventi sono pregati di presentarsi allo sportello muniti della suddetta.
Dice così il cartello alla cassa di un ospedale romano. Migliaia di persone passano di lì ogni giorno, e se arrivano senza spiccioli si sentono urlare: “Non sa leggere?”
Lo stesso nel web. Un titolo nel sito di un ente pubblico dice:
Monitoraggio e controllo sull’applicazione del D.Lgs. n. 81/2008
Orrende già sulla carta, frasi così andrebbero espulse dal web.
L’oscurità della lingua scritta è ancora più pesante alla luce di un dato statistico: solo il 22,4% degli italiani ha un diploma di scuola media superiore o una laurea, mentre il 47% (quasi 30 milioni di persone) ha frequentato al massimo la quinta elementare.
Lo dice il censimento Istat del 1991 e siamo in attesa dei dati del 2011. Forse i dati del nuovo censimento saranno migliori. Ma ancora molti milioni di italiani non capiranno il telegiornale, o la prima pagina dei quotidiani; non parliamo delle circolari dei ministeri.
Le indicazioni più utili a questo proposito sono nel Dizionario di base di Tullio De Mauro, che raccoglie le 7000 parole che quasi tutti conoscono: si può scrivere bene e farsi capire usando solo quelle.
Altre indicazioni sono nel Manuale di stile, nato nel 1997 per semplificare il linguaggio della pubblica amministrazione: con molti esempi pratici, il libro mette a confronto il linguaggio oscuro e burocratico con uno stile semplice e chiaro, fatto di periodi brevi e lineari, di parole semplici e concrete, di pensieri scanditi per punti, di verbi in forma attiva, senza paroloni e parole straniere inutili (L’edizione aggiornata è uscita del 2009).
Abbattere il paravento giuridico
Oltre a una guida per semplificare i testi sul piano lessicale e sintattico, il Manuale di stile fornisce consigli relativi al linguaggio giuridico, per ispirare i futuri redattori di leggi. Da secoli il “paravento giuridico” fa scrivere ai burocrati obliterare anziché timbrare, nulla osta anziché permesso, ammenda anziché multa.
Già li sento qui, i sacerdoti del cavillo, bollare d’inesattezza queste semplificazioni: “Una multa non è un’ammenda. Un nulla osta non è un permesso. La proprietà del linguaggio giuridico è un bene prezioso, non si spazza via così”.
Ah sì? anche firmare in calce è più prezioso che firmare in fondo?
Allora perché ce la prendiamo con le banche e con i loro impenetrabili estratti-conto? o con le assicurazioni, e con l’antico equivoco del “premio”? (è ciò che ricevi se sei stato bravo o ciò che devi pagare tu per avere la polizza?)
Quando siamo noi i destinatari, non pretendiamo che il messaggio sia comprensibile? e non ci irritiamo per i paragrafi gravati da citazioni di norme e regolamenti?
Per troppo tempo il paravento dell’esattezza formale è stato usato per evitare la responsabilità di una comunicazione semplice e trasparente.
Gli amministratori più illuminati stanno abbattendo quel paravento e contemporaneamente fioriscono le guide che raccolgono regole e suggerimenti per scrivere in maniera più chiara, a tutto beneficio dei cittadini.
dal libro “Web content management”, a cura di Alessandro Lucchini, Apogeo 2002 (con qualche aggiornamento al 2013)
- On 30 Gennaio 2013